Avv. Alessandro Zanetti
Case Study


FALLIMENTO E DIRITTO INTERNAZIONALE

Una società, trovandosi in stato di insolvenza, su istanza di uno dei creditori viene dichiarata fallita.

Dopo qualche settimana, il creditore riceve un atto giudiziario dal quale emerge che la società fallita ha impugnato la sentenza in quanto, prima dell'istanza di fallimento, essa aveva trasferito la propria sede all'estero e quindi sosteneva che la dichiarazione di fallimento non rientrasse più nella giurisdizione del Tribunale italiano, ma semmai spettasse al giudice straniero. Chiedeva quindi la condanna al pagamento delle spese legali nei confronti del creditore.

La richiesta dell'attrice si fondava sul fatto che essa affermava di aver trasferito la sede all'estero un mese prima del deposito del ricorso per la dichiarazione del fallimento. A riprova, depositava un certificato di iscrizione nel registro delle imprese dello Stato straniero.
Il trasferimento era stato iscritto nel registro delle imprese italiano poco prima del deposito della domanda di fallimento e la sentenza di fallimento era intervenuta dopo la cancellazione dal registro delle imprese italiano.
Secondo la debitrice, applicando l'art. 25 comma 1 della L. 218/95 e l'art 3 del Regolamento CE n. 1346/2000, la giurisdizione sarebbe spettata al giudice del luogo ove si trovava la sede legale al momento della domanda e quindi al giudice straniero, posto che l'iscrizione della società all'estero era avvenuta prima del deposito della domanda.

La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 2.11.16 di cui non si rinvengono precedenti specifici, ha accolto la tesi della creditrice, da me difesa, secondo cui – essendo il trasferimento della sede all'estero un procedimento complesso che coinvolge due diversi ordinamento giuridici (quello dello stato di partenza e quello di destinazione) – gli effetti del trasferimento della sede legale di una impresa all'estero possono dirsi conclusi solo con l'ultimo degli atti a ciò necessari, ovvero la cancellazione definitiva della sede legale dell'azienda dal registro delle imprese dello stato di provenienza.
Ne consegue che in questo caso, poiché la cancellazione dal registro delle imprese italiano era avvenuta dopo il deposito della domanda di fallimento, allora il giudice competente restava quello italiano.

In quel caso, la Corte non solo ha rigettato la domanda di pagamento delle spese da parte della debitrice, ma ha condannato inoltre il socio unico della debitrice, in solido con la stessa, alla rifusione delle spese legali.