Avv. Alessandro Zanetti
Case Study
Un caso di ordinaria crisi familiare rinnova la riflessione su un istituto giuridico, come quello della separazione tra coniugi, che, nel corso degli ultimi anni, è stato molto depotenziato, ma comunque si dimostra utile ed attuale in quanto capace di rispondere ai bisogni di soggetti diversi.
Una cittadina marocchina, sposata con un connazionale da cui ha avuto due figli, tutti residenti in Italia, si rivolgeva al mio studio intenzionata a porre fine al proprio matrimonio. Accusava il marito di condotte autoritarie e talvolta violente.
A detta della moglie, il marito le impediva di lavorare, di frequentare altre famiglie italiane e l’accusava in genere di adottare uno stile di vita troppo occidentale. Questi, contrariato dalla condotta della moglie, aveva iniziato a rifiutare il minimo sostentamento a lei e ai figli minori.
Dopo aver sentito il racconto della cliente, anzitutto abbiamo stilato un elenco di bisogni, attribuendovi un ordine di priorità. In definitiva la cliente, primariamente, aveva necessità di: far cessare entro breve la convivenza con il marito con cui i contrasti erano ormai quotidiani; ottenere l’affidamenti dei figli ed un contributo per il mantenimento dei medesimi. Entrambe queste esigenze erano conseguibili mediante il procedimento per separazione personale o divorzio.
Trattandosi di cittadini stranieri, anzitutto era necessario capire se fosse possibile rivolgersi ad un tribunale italiano o a quello del luogo in cui era stato celebrato il matrimonio (Marocco) e quindi risolvere la cosiddetta questione della giurisdizione. Poi, una volta individuata l’autorità competente, si sarebbe dovuto capire quale legge applicare. Per quanto concerne il primo profilo, l'analisi delle norme di diritto internazionale privato conduceva a considerare sussistente la giurisdizione italiana per tutte le domande.
Infatti, circa la domanda di scioglimento del matrimonio o di separazione, trovava applicazione il criterio dettato dall'art. 3 lett. a) Reg. UE 2201/2003 (Bruxelles II bis), che ricollega la competenza al luogo di residenza abituale dei coniugi, ossia l'Italia. Quanto alla domanda di affidamento dei figli, trovava applicazione l'art. 8 del medesimo regolamento, che rimanda parimenti al foro del luogo ove i figli minori risiedono abitualmente, situato in Italia. Riguardo infine alle domande di contenuto alimentare, la giurisdizione italiana era affermata dall'art. 3 Reg. UE 4/2009, in ragione della residenza in Italia del convenuto e dei creditori della prestazione alimentare.
Sotto il profilo della legge applicabile, occorreva invece distinguere a seconda delle domande promosse. In tema di responsabilità genitoriale, affidamento dei figli e mantenimento degli stessi, doveva farsi riferimento alla Convenzione dell'Aja del 05/10/1961 ed all'art. 36 bis L. 218/1995, che sancisce l'applicazione necessaria della legge italiana in queste materie ogniqualvolta venga adito un giudice italiano.
Per ciò che concerneva le obbligazioni alimentari, doveva farsi riferimento alla legge dello Stato in cui i creditori avevano la residenza abituale, ovverosia la disciplina italiana. Ciò in virtù dell'art. 3 del Protocollo dell'Aja del 23/11/2007.
La questione più interessante riguardava lo scioglimento del matrimonio o separazione dei coniugi. Se infatti l'art. 8 Reg. UE 1259/2010 (Roma III) rende applicabile la legge dello Stato in cui i coniugi hanno la residenza abituale, d’altra parte l’art. 5 del medesimo Regolamento consente ai coniugi di designare di comune accordo la legge applicabile scegliendo tra legge della cittadinanza, della residenza o del tribunale cui ci si rivolge. L’accordo può essere concluso e modificato in qualsiasi momento fino al momento in cui non viene adita l’autorità giudiziaria.
Ecco quindi che i coniugi avrebbero potuto scegliere se applicare la legge italiana o quella marocchina. Nella seconda delle ipotesi, i coniugi avrebbero potuto ottenere una sentenza di divorzio diretta, senza passare attraverso il procedimento della separazione, atteso che la separazione non è prevista dalla Mudawwana, il diritto di famiglia marocchino. Ciò significa che, formulando domanda di divorzio secondo la legge marocchina ed ottenendo l’adesione di controparte sulla legge applicabile, si poteva anche giungere direttamente al divorzio.
L’applicazione della Mudawwana avrebbe avuto anche altri ulteriori ipotetici benefici per la mia cliente, atteso che, nel nostro ordinamento, oramai è diventato piuttosto complicato ottenere utilità economiche dall’altro coniuge allorquando il richiedente è giovane, in salute e dotato di comune capacità lavorativa. Viceversa, il diritto di famiglia marocchino conosce ancora alcuni istituti che tutelano la donna dopo la fine del matrimonio prevedendo l’obbligo di corresponsione di somme a titolo di risarcimento danno da parte del marito, come nel caso del divorzio per pregiudizio subito (lil-darar), divorzio per mancato mantenimento (Adam-Infaq) e del divorzio dietro compenso (khol).
Pur di fronte a tali possibilità, la cliente ha optato per l’applicazione della legge italiana, sulla base di diverse considerazioni. Tra queste, una mi è parsa particolarmente interessante. La separazione personale, intesa come periodo di riflessione prima del divorzio, reversibile, è un istituto che non contrasta con la concezione musulmana del matrimonio e che comunque permette di disinnescare in tempi brevi situazioni ad alta tensione.
Effettivamente, nel corso degli studi svolti per questo caso, ho appreso che anche per la tradizione musulmana lo scioglimento del legame matrimoniale dovrebbe avvenire solo in casi eccezionali, tanto che all’interno della Sunna, la collezione dei detti (hadith) attribuiti al profeta Maometto, ve n’è uno che recita così: “Il più esecrabile degli atti legali, per Dio, è il divorzio”. Con una battuta, direi che non si è molto lontani dal vero pensando che la separazione, in questo momento storico, probabilmente è più apprezzata dagli stranieri, che dagli italiani.